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Il tempo della responsabilità

Ti ricordi del marzo 2020? Dell’incertezza in cui ci trovavamo, della paura, dell’isolamento in cui ci siamo dovuti rifugiare perché, ci dicevano, era il modo per proteggerci e tenere a bada un virus sconosciuto.

Gli ospedali pieni, le strutture sanitarie in emergenza. La necessità di trovare nuove risposte a nuovi bisogni. È così che nasce l’idea di riconvertire hotel, lasciati vuoti dai turisti, in strutture sanitarie di supporto, dove ospitare persone contagiate che non così gravi da necessitare il ricovero in ospedale ma che non avevano un luogo sicuro dove trascorrere la quarantena lontani da tutti.

Il primo Hotel Covid in Italia, aperto a marzo 2020, è stato quello gestito dalla Comunità Papa Giovanni XXIII a Cattolica. La struttura, di proprietà della Comunità fondata da don Oreste Benzi, ha iniziato ad accogliere i malati che avevano superato la fase più acuta e che, per ragioni di prudenza, non potevano tornare a casa, o le persone in isolamento che a casa propria non avevano la possibilità di mantenere le distanze dai familiari conviventi, ma anche coloro che risultavano positivi al coronavirus e si trovavano lontani dalla loro residenza. Un modello sperimentale, previsto dal decreto “Cura Italia” e messo a punto con l’ASL locale, in collaborazione con la Protezione Civile e la supervisione della Prefettura, allo scopo di alleggerire il carico degli ospedali della provincia di Rimini, tra le più colpite in quel momento dall’emergenza Covid-19.

“È il tempo della responsabilità”, disse Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità. Per questo, quando la Prefettura ha chiesto il suo coinvolgimento, non è mancata la collaborazione e la disponibilità a riconvertire l’albergo, dal giorno alla notte, in ospedale da campo e ad accogliere fino a 50 persone per volta, ciascuna in una camera con un bagno, provvedendo a tutte le esigenze di ogni paziente e a garantire pasti e tutto il necessario.

Il tempo della responsabilità

Mentre tutti si tenevano più lontani possibili dal virus, una decida di giovani volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII ha scelto invece di offrire servizio nell’Hotel Covid, lasciando le famiglie e auto-isolandosi, per occuparsi e prendersi cura delle persone accolte, fornendo loro tutto il supporto e l’aiuto, pur senza avere mai uno scambio diretto per via della necessità di mantenere le distanze e rispettare i protocolli di sicurezza. Hanno monitorato quotidianamente lo stato di salute degli ospiti, se avevano la febbre, se mangiavano con appetito, tenendo un diario in cui appuntare altre osservazioni utili per i sanitari, da chiamare nel caso di sintomi preoccupanti.

Perfino Papa Francesco scrisse a questi ragazzi, congratulandosi con loro per l’attenzione e la responsabilità che stavano dimostrando.

La prima paziente accolta è stata una signora ucraina, di lavoro faceva la badante ma la famiglia presso cui lavorava l’aveva messa alla porta, proprio quando a tutti veniva chiesto di restare in casa, convinti che quello fosse il luogo più sicuro.

Senza di noi non avrebbe avuto altro posto dove fare la quarantena.

Il Royal è stato di esempio per alte strutture simili, in tutta Italia. Ci siamo praticamente inventati un protocollo che ancora non esisteva, offrendo un tipo di servizio andato ben oltre la semplice gestione alberghiera. E diciamoci la verità: c’è voluto coraggio, perché all’epoca il Covid faceva davvero paura.

“Noi membri della Comunità Papa Giovanni XXIII diamo la nostra vita agli ultimi e se ora gli ultimi sono i malati, gli appestati con cui nessuno vuole avere a che fare, allora eccoci pronti a fare qualcosa anche per loro”, furono le parole con cui Gianpiero Cofano, responsabile del progetto, spiegò il perché di questa scelta.

L’Hotel Covid al Royal è rimasto attivo un anno e ha accolto più di 600 malati, sempre cercando di far sentire le persone a casa, nonostante non potesse esserci contatto e nonostante stessero vivendo una situazione difficile e preoccupante.

Molte delle persone che abbiamo accolto ancora ci chiamano e ci ringraziano.

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